6 août 2009

Lagrange, nel Panthéon degli grandi uomini in Francia

Giuseppe Luigi, comte de Lagrange (Giuseppe Lodovico Lagrangia in Italiano), 25 Gennaio 1736, Torino - 10 aprile 1813, Parigi. Nominato molto giovane, professore alla scuola di artiglieria di Torino nel 1755, vi crea, nel 1758, l’Accademia di Torino. Trasferito a Parigi, dove aveva pubblicato sua “Mécanique analytique” (1787), poco prima della Rivoluzione Francese, deve a suo genio di scappare alle misure di repressione contro gli stranieri. Alcune leggi speciali del "Comité du salut public" gli permettono di continuare ad esercitare le sue funzioni. Famoso per avere introdotto il metodo analitico nel campo della geometria, ha studiato comunque tutti i campi della matematica e ci ha lasciato importanti lavori sia in geometria, sia in trigonometria sia in mecanica. Lagrange é probabilmente uno dei più grandi uomini di scienza del XVIIIe secolo. E’ il padre del teorema sulla teoria dei gruppi, del teorema sulle frazioni continue, l’equazione differenziale, la funzione di Lagrange, le equazioni in mecanica analitica. Lagrange elabora il sistema metrico con Lavoisier durante la Rivoluzione. Partecipa alla creazione dell’École Normale (1795), dell’École polytechnique (1794) dove insegna a partire dal 1797. La fama rimase immutata sia durante la Rivoluzione che sotto Napoleone Bonaparte che consolidò la sua posizione: gli diede la Légion d'Honneur. Lagrange fu eletto anche Senatore in Francia e conte dell'impero. Pochi sanno che, morto nel 1813, é stato nel Panthéon a Parigi.

4 août 2009

Ugo Foscolo, odio e ode a Bonaparte !


Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, Londra, 10 settembre 1827), il poeta e scrittore italiano, uno dei principali letterati del Neoclassicismo e del Preromanticismo é stato, pochi lo sanno, un fervore difensore di Napoleone. La discesa del giovane Generale in Italia accende l’entusiasmo politico del poeta, che si impegna per la causa rivoluzionaria. Quando Napoleone cede Venezia all’ Austria con il Trattato di Campoformio (1797), la delusione di Foscolo è grande. Continuerà a seguire gli eserciti Napoleonici, ma il suo atteggiamento diventerà sempre più antifrancese. Tuttavia, pur avversando il dispotismo Napoleonico, Foscolo ne comprende l’importanza storica e riconosce la sua funzione nel merito di aver svegliato in Italia la coscienza nazionale e l’ansia di libertà. A Napoleone Bonaparte liberatore è la prima ode scritta dal giovane Foscolo che venne stampata verso la fine del 1799 durante l'assedio di Genova. Premessa all'ode vi era una lettera dedicatoria rivolta al Primo Console, nella quale il poeta lo esortava ad accorrere in aiuto agli italiani e a non lasciarsi tentare dalle seduzioni della tirannide (v. sotto).

L'ode è composta da nove strofe, ciascuna di ventisei versi, endecasillabi e settenari. Nell'ode viene invocata la dea Libertà che è fuggita da Roma al tempo della tirannia, perché ispiri il poeta in questo felice momento, in cui non viene più considerato un delitto dire la verità. La dea giunge in Italia inneggiata dal canto dei combattenti, tra i quali uno sfodera la spada e, preceduto dalla Gloria e seguito dalla Vittoria e dalla Fama, fa strage. Il poeta si chiede che cosa ha spinto la dea a giungere in Italia, che una volta era regina ed ora è schiava, da riva straniera. Roma, dice il poeta, ha assistito al rovesciamento dei troni, ha visto insediarsi nuovi Neroni e nuovi imperi costruiti sulle stragi, sulla violenza e il peccato fino a quando Dio disse "non più!". Ma l'Italia non si è liberata dai livori e dalla schiavitù e Roma e Firenze invocano la libertà, mentre le altre regioni si dilaniano nelle lotte interne e Torino tenta inutilmente di liberarsi dalla prigionia. Ma la Libertà chiama alle armi e infonde forza al suo giovane eroe che abbatte ogni ostacolo e così dalla Francia si diffonde ovunque il nome "Libertà". Mentre l'Italia brucia nella guerra e la Germania è pronta a spiccare il suo volo rapace, essa viene vinta e il novello guerriero, incitando e vincendo, occupa il suolo alemanno e doma la pontificia Roma portando la Libertà all'Italia che, non più soffocata dalla tirannide, vive serena retta da buone leggi godendo nuovamente di ricca agricoltura e di commercio. L'ode termina con un invito alla Virtù, perché non esiste Libertà né amor patrio senza di essa e lo straniero è sempre in agguato.



A BONAPARTE.

Genova, 5 agghiacciatore, anno VIII.


Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e venticinque combattimenti, espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni e centomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciato due antiche repubbliche, e forzato l'imperatore alla tregua, davi pace a’ nemici, costituzione all'Italia, e onnipotenza al popolo francese. Ed ora pur te la dedico non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi primo la fondò. Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere, ed a vincere! Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall'antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poichè la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore; ed è vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota, noi e per i tuoi beneficj, o pel tuo Genio che sovrasta tutti gli altri dell’età nostra siamo in dovere di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci non solo perchè partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d'Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni, e scemò dignità ai tuo nome.
E’ pare che la tua fortuna, la tua fama, e la tua virtù te ne abbiano in tempo aperto il campo. Tu stai sopra un seggio donde e col braccio o col senno puoi restituire libertà a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all'Europa.

Pure nè per te glorioso, nè per me onesto sarebbe s'io adesso non t'offerissi che versi di laude. Tu se’ omai più grande per i tuoi fatti che per gli altrui detti: nè a te quindi s’aggiugnerebbe elogio, nè a me altro verrebbe tranne la taccia di adulatore. Onde t'invierò un consiglio, che essendo da te liberalmente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e che io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti, perchè so dirti fermamente la verità.
Uomo tu sei e mortale e nato in tempi ove la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi incitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbero trarti forse a cosa che tu stesso abborri. Nè Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo.
Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu aspirando al supremo potere sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delle sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commetterà la tua sentenza alla severa posterità. Salute.



UGO FOSCOLO.